Vi svelo i veri avatar, 05 marzo 2010

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Riddick™
view post Posted on 5/3/2010, 16:52




Vi svelo i veri avatar
«Mi hanno chiamata i militari. Avevano capito che non bastavano le armi per sconfiggere la guerriglia»

parla l’antropologa americana Montgomery McFate


Un anno fa il mensile californiano Wired l’aveva inserita tra i quindici guru che il presidente Obama farebbe bene ad ascoltare, a fine 2009 è stato l’Atlantic Monthly a citarla fra i ventisette innovatori del momento. Ai consensi coast to coast, l’antropologa Montgomery McFate aggiunge ora il riflesso delle nove nomination con cui Avatar si presenta alla notte degli Oscar. Sì, perché l’idea di abbinare conquista e conoscenza, prove di dominio e assaggi di convivenza, su Pandora prende il volto della studiosa Grace Augustine - alias Sigourney Weaver - ma nelle guerre di tutti i giorni ha il copyright di questa quarantacinquenne laureata a Yale e specializzata ad Harvard. Non per nulla Montgomery McFate ha messo i suoi occhialini da intellettuale al servizio dell’esercito Usa: a detta dello stesso generale David Petraeus, il comandante della svolta in Iraq, la sua consulenza antropologica è stata decisiva per migliorare la situazione sul campo.

«Se vuoi conviverci, devi conoscerli» sibila Grace-Sigourney al colonnello dei marine Miles Quaritch, decisamente più incline al monologo muscolare che allo scambio culturale con le “scimmie blu” del popolo dei Na’vi. «Nel mio caso è successo il contrario » spiega McFate. «Fin dal 2004 è stata la frustrazione dei comandanti in prima linea a convincere Washington che in Iraq e in Afganistan non c’era modo di sconfiggere la guerriglia senza conoscere la società che ci circondava». Loro ponevano un problema, lei offriva la soluzione: «Il gap di conoscenza di cui soffrono i nostri soldati» scrive McFate sulla Military Review nella primavera 2005 «è dovuto all’emarginazione quasi totale dell’antropologia da parte dell’establishment militare». Come confessava candidamente un capitano di stanza nel deserto attorno a Baghdad: «So sparare, so uccidere, ma nessuno mi ha mai insegnato come si accetta l’invito a pranzo di uno sceicco». Il marine di Avatar scopre i segreti di Pandora seguendo l’esempio della sua bella indigena, i soldati americani dal 2006 imparano a mettersi a tavola grazie a McFate e ai suoi colleghi del programma di consulenza antropologica Human Terrain System.

Sembra elementare, probabilmente lo è fin troppo. La scientist in chief risponde alle domande di Io donna dando la parola ai soldati cui la sua scienza ha cambiato la vita. C’è un maggiore delle forze speciali secondo cui «se ci avessero avvertiti prima che qui la gente festeggia i matrimoni sparando in aria, chissà quante volte avremmo evitato di aprire il fuoco contro una minaccia immaginaria». Che è come dire che per anni i marine hanno mirato nel buio e i civili sono stati ammazzati per nulla. Ma non è solo questo: un maggiore delle truppe da sbarco riconosce a McFate che «prima del vostro arrivo potevamo contare solo su noi stessi. Cos’è una tribù? Cosa vuole questa gente? Perché quando ci incontrano si spostano tutti sulla sinistra? Noi sappiamo fare la guerra, queste cose non le sappiamo ». Montgomery McFate è convinta che il suo drappello di antropologi embedded abbia il merito storico di aver fatto diminuire il numero dei civili uccisi per errore. Quanti? Non ci sono statistiche. Ma si racconta che ai posti di blocco la mano aperta per fermare il traffico spesso veniva interpretata come un segno di benvenuto e buon viaggio: le macchine non si fermavano, i marine si agitavano, ed erano stragi anche là. Come conferma un comandante della 56ma brigata di combattimento: «Da quando è operativo lo Human Terrain System siamo passati dal risolvere i problemi in modo letale, ad applicare soluzioni non letali». O, per dirla con l’ingenuo cinismo di un ufficiale della 172ma brigata: «Il programma ci ha fornito uno strumento per non ammazzare la gente».

All’inizio era solo un software: «Siamo partiti nel 2005 con un database chiamato Cultural Preparation of the Environment » racconta McFate, «però si è intuito subito che alle brigate non serviva l’ennesimo manuale, ma gente in carne e ossa che ne capisse qualcosa». I database sono rimasti (l’aggiornamento 2009 si chiama Map HT Toolkit e offre una panoramica su usi, costumi e strutture di potere della zona di riferimento) ma nel frattempo sono arrivati decine di specialisti di società, economia e religione medio-orientale: «Al momento abbiamo quindici squadre in Iraq e quindici in Afghanistan: ci occupiamo di tutto, dalla consulenza archeologica allo sviluppo di programmi per la salute femminile alla supervisione per evitare brogli durante le elezioni». L’ultimo compito non sembra essere stato assolto appieno, se è vero che lo scrutinio afghano del novembre 2009 è sembrato «libero e corretto» solo al vincitore Hamid Karzai. Ma gli avatar di McFate non demordono, forti di un finanziamento del Pentagono che dagli iniziali 40 milioni è lievitato fino a superare i 100 milioni di dollari nel 2009: «Non c’è nulla di strano in questa commistione tra scienza ed esercito» insiste McFate. «Per fare la guerra hai bisogno di sviluppare sia l’empatia sia la capacità di prendere le distanze dal nemico. In fondo se T.E. Lawrence è potuto diventare Lawrence d’Arabia è anche merito della sua passione per l’antropologia».

Ma si tratta di umanizzare la guerra o di militarizzare la scienza? Il dubbio resta, se è vero che McFate fa incetta di allori mediatici ma non è ancora riuscita a convincere i suoi colleghi accademici: l’Associazione degli antropologi statunitensi dichiara che lo Human Terrain System «non può essere considerato un’applicazione legittima dell’antropologia »; in una petizione al Congresso oltre mille concerned anthropologists lamentano che «questo programma viola gli standard di ricerca scientifici e federali »; in un saggio sulla Bibbia della controcultura californiana Counterpunch, David Price approfitta del film di James Cameron per farsi beffe degli Human Terrain Avatars che riporterebbero l’antropologia nel vecchio alveo della pratica colonialista. Sono attacchi pesanti, ma McFate non sembra affatto turbata: «La gente ha paura di ciò che non conosce. La diffidenza dell’accademia dipende dal fatto che la maggioranza degli americani non ha più famigliarità con le nostre forze armate». Eppure per lei la posizione resta antropologicamente scorretta: i generali la adorano, ma i colleghi la emarginano. Finirà per trovare conforto nell’esempio di Sigourney- Grace? «Augustine mi piace perché è piena di contraddizioni» ammette. «In fondo cerca una soluzione non-violenta a un imperativo economico: nel film finisce per ribellarsi e per essere uccisa, nella vita spero che il regista abbia in serbo un finale diverso».

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